L’ESPERTO RISPONDE - tratto da "Millionaire" - novembre 2010 - di Luca Fumagalli
1-Sono una vostra
lettrice da anni, e ritengo che siate una rivista completa, per chi, come me,
parte dall'abc per avvicinarsi al mondo del franchising, e non.
Nella ricerca di un franchising idoneo alle esigenze della mia città, e alle
mie, ne ho individuato uno che mi ha proposto non un contratto di
affiliazione ma un contratto di "collaborazione commerciale", in cui
sono menzionati una serie di diritti e doveri tipici però di un contratto di
affiliazione. Ma allora, dov'è la vera differenza?
Ilenia Russo
Ha ragione lei, cara lettrice. Non c’è nessuna differenza
pratica tra un contratto con l’intestazione “ Collaborazione commerciale” e uno con scritto “ Affiliazione commerciale”
oppure “Franchising”. Il testo della legge "Norme
per la disciplina dell’affiliazione commerciale", del 6 maggio
2004, n.129, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 120 del 24 maggio
2004 recita espressamente : “L’affiliazione
commerciale (franchising) è il
contratto, comunque denominato, fra
due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base
al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di
un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a
marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni,
diritti di autore, know-how,
brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato
in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul
territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi “. Ne
deriva che scrivere ” Collaborazione Commerciale” nell’intestazione del contratto non esenta
l’azienda proponente dal sottostare alle norme caratteristiche della legge
sull’ affiliazione commerciale, se i contenuti sono quelli tipici del contratto
di franchising, così come sopra descritti. Il comportamento, purtroppo non isolato, più
che avere conseguenze concrete denota semplicemente una preoccupante ignoranza della legge e il
vano tentativo di sfuggire a norme di tutela assolutamente eque e
condivisibili. Al suo posto, cara lettrice, scarterei immediatamente una
azienda che manifesta con questo atteggiamento tutta la sua superficialità
nell’approccio alla formula, nonché l’intenzione di agire con scarsa
trasparenza e di adottare “ scorciatoie” del tutto ingiustificate.
2- Vorrei avviare una attività in franchising,ma prima di
farlo mi piacerebbe fare esperienza nello stesso settore come dipendente, tanto
per rendermi conto di come funziona. Lei che ne pensa?
Olga Santini
L’intenzione è lodevole. Se si hanno dubbi sul settore o
sulla propria attitudine ad una determinata attività può essere utile
avvicinarsi gradualmente, con stage presso chi opera già in quel business o
impieghi da dipendente. Se però si hanno le idee chiare sul proprio futuro e si è identificato un franchisor serio e
qualificato in quel settore, questo passaggio intermedio può essere superfluo o
addirittura controproducente. Superfluo perché uno dei principali doveri del
franchisor è proprio quello di trasferire KNOW-HOW, cioè tutta l’esperienza
utile a far funzionare l’attività. Controproducente quando lo stage o il lavoro
dipendente portano il futuro imprenditore affiliato ad apprendere modalità e
approcci all’attività sostanzialmente differenti da quelli previsti nel concept
del franchisor.
3 – Perché nel franchising non posso avere nemmeno il mio
nome sulla insegna? In fondo sono io
l’imprenditore e l’attività la pago io …
Carlo Puricelli
Tra un nome ed un marchio c’è una differenza abissale in
termini attrattività. Un nome sconosciuto al consumatore non dà alcun valore
aggiunto all’offerta, casomai ne toglie. Nel franchising il marchio è sostenuto
da tutti gli investimenti economici possibili e dai massimi sforzi di tutti,
affiliante e affiliati, per aumentarne la notorietà nazionale e locale,
incrementandone l’appeal. Se tutti gli affiliati di una rete mettessero il
proprio nome al posto del marchio, non ci sarebbe nessuna possibilità di
ottenere una notorietà comune e nessuna sinergia possibile negli interventi in
ambito di comunicazione, pubblicità e marketing.
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