Luca Fumagalli |
"L’esperto risponde" - tratto da "Millionaire" dicembre 2011
di Luca Fumagalli
1 – Mi aveva molto colpito
un progetto di franchising nell’ambito di servizi particolarmente innovativi.
Dopo alcuni incontri e valutazioni reciproche ho tuttavia scoperto che
l’azienda, produttrice di impianti da qualche anno, si era sempre e soltanto
servita di agenti e rivenditori indipendenti per la distribuzione dei suoi
macchinari.
In sostanza mi proponeva il
franchising pur non avendo in alcun modo sperimentato la sua formula
commerciale con centri diretti o affiliati.
Il suo presunto progetto di
franchising, che mi è stato proposto a caro prezzo, non era dunque che qualche
idea e qualche numero messo sulla carta.
Ma è lecito fare proposte di
questo genere e pubblicizzarle?
Federico Lorenzi – Genova
La legge italiana
sull’affiliazione commerciale è chiarissima nel contrastare questo tipo di
approccio e fornisce definizioni inequivocabili. Per know-how si intende “… un patrimonio di conoscenze pratiche non
brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante,
patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; per segreto, che il know-how, considerato come complesso di
nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è
generalmente noto né facilmente
accessibile; per sostanziale, che il know-how
comprende conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la
rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per
individuato, che il know-how deve
essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di
verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità.”
Gli imprenditori che si
accostano al franchising dal mondo della produzione faticano solitamente più
degli altri a comprendere la fondamentale differenza che c’è tra il know-how
manifatturiero che essi indubbiamente padroneggiano e quello indispensabile per
fare franchising. Un altro passaggio della legge 129 del 6 maggio 2004 è
illuminante in proposito: “Per la costituzione di una rete di affiliazione
commerciale l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula
commerciale”.
Chi produce da anni, come
l’azienda citata dal lettore, non può non avere un suo know-how, ovvero una
esperienza nel produrre beni o, nel caso in questione, impianti.
Allo stesso modo può sapere
come rivendere questi beni tramite agenti, rivenditori, grossisti o qualunque
altro genere di interlocutore.
Ma tutto ciò ha poco o
niente a che vedere con la “sperimentazione della formula commerciale”
richiesta dalla legge né tanto meno con la presenza di quel “know-how segreto,
sostanziale e individuato” indispensabile per poter mettere sul mercato un
progetto di franchising, ovvero per poter firmare contratti di affiliazione.
Le imprese del genre
descritto dal lettore, che potremmo definire quantomeno “superficiali” nel loro
approccio al franchising, tendono a saltare più o meno volutamente due passaggi
fondamentali del percorso progettuale: il pilotage e la standardizzazione della
formula. Per pilotage si intende proprio la sperimentazione nel mercato della
specifica formula commerciale che si vuole proporre ai futuri affiliati.
Le unià pilota, dirette o
affiliate, devono dimostrare la validità del concept attraverso risultati
economici inequivocabili e riproducibili dai futuri affiliati. Inoltre devono
fornire quelle conoscenze pratiche che costituiranno il know-how del sistema
franchising.
La seconda, indispensabile
fase che porta l’azienda a diventare franchisor è quella della codificazione
del know-how e della standardizzazione della formula, attraverso un intervento
che viene definito “costruzione progettuale” e che va realizzato da esperti in
materia.
2 – Nel contratto di
franchising che sto visionando mi vengono applicate delle royalties calcolate
in percentuale sul fatturato, ma a partire da un contributo minimo mensile
fisso.
Per prima cosa non viene
specificato a che titolo mi vengono richieste e poi mi chiedevo se è legittima
la parte fissa mensile, visto che io la pagherei indipendentemente dal
fatturato prodotto.
Lettera firmata – Varese
Le voci che solitamente
vengono considerate all’interno delle royalties riguardano l’uso del marchio
per la durata del contratto, l’assistenza e il supporto continuativo,
l’aggiornamento obbligatorio, le azioni di marketing o di pubblicità non
altrimenti conteggiate nell’apposito contributo e, se non ottenuti in altro
modo, i margini di guadagno dell’affiliante.
Va da sé che,
indipendentemente da quanto un affiliato possa o meno incassare, l’azienda
affiliante sostiene comunque i costi relativi ad alcune delle voci appena
precisate.
Solo a titolo di esempio,
l’assistenza e il supporto continuativo presuppongono la presenza di
responsabili franchising o responsabili area, persone competenti e qualificate
i cui compensi vanno garantiti dalle royalties versate dalla rete, così come i
costi di trasferta per le visite agli affiliati. Tra l’altro i costi che
l’azienda franchisor sostiene per assistere un franchisee sono inversamente
proporzionali al suo successo: più l’affiliato è soddisfatto, meno l’affiliante
spende. Un altro esempio è dato dalla voce “aggiornamento” che può riguardare i
corsi tenuti dal Training Manager per la crescita professionale della rete.
Anche in questo caso si
tratta di una figura interna all’azienda affiliante il cui lavoro va
correttamente remunerato o grazie alle royalties oppure con la realizzaizone di
corsi a pagamento.
3 – Mi è stato detto dal
franchisor che sto valutando che l’area di esclusiva che mi verrebbe garantita
è “commercialmente aperta”. Cosa significa?
Angela Nicchi – Urbino
In casi come questo
l’affiliante si impegna a non aprire
altre attività nel territorio di esclusiva, ma l’affiliato resta libero di
operare con la clientela sia all’interno che fuori dal territorio di esclusiva.
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