domenica 10 agosto 2014

"L'esperto risponde" - dicembre 2011

Luca Fumagalli
"L’esperto risponde" - tratto da "Millionaire" dicembre 2011

di Luca Fumagalli

1 – Mi aveva molto colpito un progetto di franchising nell’ambito di servizi particolarmente innovativi. Dopo alcuni incontri e valutazioni reciproche ho tuttavia scoperto che l’azienda, produttrice di impianti da qualche anno, si era sempre e soltanto servita di agenti e rivenditori indipendenti per la distribuzione dei suoi macchinari.
In sostanza mi proponeva il franchising pur non avendo in alcun modo sperimentato la sua formula commerciale con centri diretti o affiliati.
Il suo presunto progetto di franchising, che mi è stato proposto a caro prezzo, non era dunque che qualche idea e qualche numero messo sulla carta.
Ma è lecito fare proposte di questo genere e pubblicizzarle?
Federico Lorenzi – Genova

La legge italiana sull’affiliazione commerciale è chiarissima nel contrastare questo tipo di approccio e fornisce definizioni inequivocabili. Per know-how si intende “… un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; per segreto, che il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto né facilmente  accessibile; per sostanziale, che il know-how comprende conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per individuato, che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità.”
Gli imprenditori che si accostano al franchising dal mondo della produzione faticano solitamente più degli altri a comprendere la fondamentale differenza che c’è tra il know-how manifatturiero che essi indubbiamente padroneggiano e quello indispensabile per fare franchising. Un altro passaggio della legge 129 del 6 maggio 2004 è illuminante in proposito: “Per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale”.
Chi produce da anni, come l’azienda citata dal lettore, non può non avere un suo know-how, ovvero una esperienza nel produrre beni o, nel caso in questione, impianti.
Allo stesso modo può sapere come rivendere questi beni tramite agenti, rivenditori, grossisti o qualunque altro genere di interlocutore.
Ma tutto ciò ha poco o niente a che vedere con la “sperimentazione della formula commerciale” richiesta dalla legge né tanto meno con la presenza di quel “know-how segreto, sostanziale e individuato” indispensabile per poter mettere sul mercato un progetto di franchising, ovvero per poter firmare contratti di affiliazione.
Le imprese del genre descritto dal lettore, che potremmo definire quantomeno “superficiali” nel loro approccio al franchising, tendono a saltare più o meno volutamente due passaggi fondamentali del percorso progettuale: il pilotage e la standardizzazione della formula. Per pilotage si intende proprio la sperimentazione nel mercato della specifica formula commerciale che si vuole proporre ai futuri affiliati.
Le unià pilota, dirette o affiliate, devono dimostrare la validità del concept attraverso risultati economici inequivocabili e riproducibili dai futuri affiliati. Inoltre devono fornire quelle conoscenze pratiche che costituiranno il know-how del sistema franchising.
La seconda, indispensabile fase che porta l’azienda a diventare franchisor è quella della codificazione del know-how e della standardizzazione della formula, attraverso un intervento che viene definito “costruzione progettuale” e che va realizzato da esperti in materia.

2 – Nel contratto di franchising che sto visionando mi vengono applicate delle royalties calcolate in percentuale sul fatturato, ma a partire da un contributo minimo mensile fisso.
Per prima cosa non viene specificato a che titolo mi vengono richieste e poi mi chiedevo se è legittima la parte fissa mensile, visto che io la pagherei indipendentemente dal fatturato prodotto.
Lettera firmata – Varese

Le voci che solitamente vengono considerate all’interno delle royalties riguardano l’uso del marchio per la durata del contratto, l’assistenza e il supporto continuativo, l’aggiornamento obbligatorio, le azioni di marketing o di pubblicità non altrimenti conteggiate nell’apposito contributo e, se non ottenuti in altro modo, i margini di guadagno dell’affiliante.
Va da sé che, indipendentemente da quanto un affiliato possa o meno incassare, l’azienda affiliante sostiene comunque i costi relativi ad alcune delle voci appena precisate.
Solo a titolo di esempio, l’assistenza e il supporto continuativo presuppongono la presenza di responsabili franchising o responsabili area, persone competenti e qualificate i cui compensi vanno garantiti dalle royalties versate dalla rete, così come i costi di trasferta per le visite agli affiliati. Tra l’altro i costi che l’azienda franchisor sostiene per assistere un franchisee sono inversamente proporzionali al suo successo: più l’affiliato è soddisfatto, meno l’affiliante spende. Un altro esempio è dato dalla voce “aggiornamento” che può riguardare i corsi tenuti dal Training Manager per la crescita professionale della rete.
Anche in questo caso si tratta di una figura interna all’azienda affiliante il cui lavoro va correttamente remunerato o grazie alle royalties oppure con la realizzaizone di corsi a pagamento.


3 – Mi è stato detto dal franchisor che sto valutando che l’area di esclusiva che mi verrebbe garantita è “commercialmente aperta”. Cosa significa?
Angela Nicchi – Urbino


In casi come questo l’affiliante si impegna  a non aprire altre attività nel territorio di esclusiva, ma l’affiliato resta libero di operare con la clientela sia all’interno che fuori dal territorio di esclusiva.

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